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Gli artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)


Cinquantasei giorni dall'inizio dell’epidemia in Italia.

Parafrasando il titolo del celebre romanzo di Gabriel García Márquez “L'amore ai tempi del colera”, ogni aspetto delle nostre esistenze è diventato un “al tempo del Covid-19”, qualcuno forse taccerà di essere poco originali, ma all'interno di quel “tempo” non ben quantificato sono riversati gli spettri delle nostre preoccupazioni: se da sempre il tempo è stato la misura con cui è possibile misurare gli eventi, improvvisamente questa dimensione non è più tangibile, un tempo che ha una data di inizio ben precisa, ma che ancora non ha una fine, diventando così un tempo di incertezza, un tempo di attesa, un tempo indefinito, in cui in un quotidiano paradosso questo stesso tempo scorre senza poter essere ancora misurato, intrappolati in un loop temporale che ha modificato la percezione delle nostre giornate, e in cui, restando a casa, non ci resta che aspettare. 

Alessandro Pinna_Gli artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)

Questo viaggio è iniziato partendo da lontano, approfondendo (sotto il profilo artistico) i tempi della prima devastante pandemia mondiale, quella dell’Influenza Spagnola. [“Gli artisti al tempo della Pandemia: l’Influenza Spagnola” (parte prima); “Gli artisti al tempo della Pandemia: l’Influenza Spagnola” (parte seconda)] Sono passati circa 100 anni da allora, eppure le testimonianze storiche dimostrano che gli stati d’animo provati dall'essere umano con le sue svariate manifestazioni emozionali, rimangono immutati: i progressi della scienza e della tecnologia certamente permetteranno un controllo maggiore dell’epidemia, ma la scia di danni, umani ed economici, che il virus lascerà al suo passaggio, lasceranno un solco profondissimo. 

 

Ricostruiremo dalle macerie. 

 

Ogni evento di portata così significativa impatta, non solo sul nostro vivere quotidiano, ma in tutte le forme di espressione visiva e comunicativa, le sensibilità artistiche di tutte le culture, da sempre, hanno interpretato e vissuto, attraverso linguaggi differenti, le tragedie del proprio tempo.  Il Novecento è stato un secolo in cui l’affermarsi delle Avanguardie Artistiche ha generato movimenti, correnti e artisti di unica grandezza e negli anni in cui si manifestò l’Influenza Spagnola (1918-1920), molti di questi hanno convissuto con l’isolamento, il distanziamento sociale e l’utilizzo delle mascherine, esattamente come noi oggi. Qualcuno si è ammalato, qualcuno è deceduto, qualcun altro è riuscito a non contagiarsi. Molti di questi hanno lasciato nelle proprie opere, traccia di quello storico passaggio. 

 

Allo stesso modo gli artisti di oggi, immortalano il tempo del Covid-19. 

Alessandro Pinna_Gli artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)_Alessandro Pinna

In queste settimane c’è stato un flusso creativo continuo, che favorito dalla morsa del lock-down, sta producendo un incremento notevole del corpus artistico di moltissimi artisti contemporanei, che interpretano, veicolano e diffondono, attraverso la propria personale visione, la realtà attuale, ponendo l’accento sulle problematiche intrinseche o proiettandosi verso il cambiamento, inevitabile, che conseguirà da questo marasma.  

 

All'interno del copioso fluire di dati riversati in rete, tra le tante proposte, ha catturato la mia attenzione in particolar modo l’operato di Alessandro Pinna, pittore per passione, originario della Sardegna e naturalizzato in Lombardia, che, a mio avviso, più di tutti, è il rappresentante artistico dell’epoca del Covid-19.  

Alessandro ha immortalato quei volti la cui identità è celata, nascosta e protetta dai dispositivi di sicurezza, diventati oggetto di dibattito nel corso dell’emergenza sanitaria, rendendo così quegli occhi eterni. 

 

Il pittore sardo manifesta il suo amore per l’arte sin dalla più tenera età, le prime contaminazioni arrivano dal padre, appassionato paesaggista da cui può apprendere i primi rudimenti della pittura: le sue notevoli abilità vengono riconosciute e premiate già a 11 anni, quando nel 1986, vinse il primo premio del concorso indetto dal comune del suo paese di nascita, Carbonia, in Sardegna. Nonostante la precoce inclinazione artistica la vita poi ha preso altre strade: per la famiglia dell’allora giovane Pinna l’arte non poteva essere concepita come possibile sbocco professionale, ma relegata solo ad attività hobbistica, pertanto una formazione accademica non sarebbe stata plausibile, e così l’artista dopo pochi anni di studi all'Istituto Tecnico per Geometri, si butta nel mondo del lavoro, rimbalzando nelle più svariate attività. Mantiene costante l’esercizio del disegno, dedicandosi in particolar modo al fumetto, ma benché avesse raccolto qualche successo, la vita reale fatta di sacrifici, interminabili turni di lavoro e bollette da pagare, non gli permetteranno di coltivare la sua passione. Ma come spesso accade, sono le grandi scosse a generare cambiamenti: passando attraverso il dolore, la sofferenza, la paura e la malattia, il senso stesso della vita, acquistano un sapore differente. Nel 2009 viene diagnosticata al pittore una forma di leucemia acuta, che stravolgeranno la sua esistenza. E come in un destino malvagio e beffardo, nello stesso anno anche il padre si ammalò, trovandosi entrambi a lottare contro un mostro chiamato tumore. Il padre se ne andrà nel 2010. Alessandro scese in campo con tutte le sue forze, in una battaglia combattuta nelle lunghe settimane di degenza in ospedale, tra cicli di chemioterapia e cure, tubi che invasero il suo corpo e mascherine di protezione indispensabili in una fase così delicata. Durante il lungo calvario, la ferma volontà di guarire e l’idea che l’estraniamento dai cattivi (inevitabili) pensieri avrebbero potuto aiutarlo, fanno sì che l’artista si dedicasse totalmente al disegno, scoprendo così in quell'attività una medicina naturale, capace di rilassare la sua mente e provare sollievo dalla lunga sofferenza con cui stava convivendo. L’arte diviene un atto di guarigione con cui esorcizzare il malessere, un processo di elaborazione introspettiva atto alla rielaborazione del proprio travaglio. Dopo un calvario lungo un anno, la vita finalmente riprende ma con delle priorità del tutto differenti: Alessandro incarna nel suo essere la locuzione latina “Vita brevis, Ars longa!”, la Vita è breve, ma l’Arte è lunga!, decidendo così di inseguire il suo amore per l’arte  e la sua naturale propensione alla pittura, fermando questo tempo sfuggevole, che percorriamo nell'arco delle nostre vite, attraverso il segno delle sue pennellate. 

Appunti d'Arte di Tamara Follesa_Gli artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)_Alessandro Pinna

Nel 2010 approfondisce le conoscenze tecniche a bottega dal Maestro peruviano Alejandro Fernandez Centeno, docente di disegno, pittura e studio del nudo presso la Libera Accademia di Pittura Vittorio Viviani, con cui emerge la sua abilità di ritrattista e la propensione verso la rappresentazione di figure, accompagnato in tutto il suo cammino dalla moglie quale musa principale, in un’incessante ricerca formale dell’espressione del dolore, dei segni lasciati dalle cicatrici fisiche ed emotive,  ma anche dal valore ineguagliabile della rinascita, come una Fenice, dalle proprie ceneri. 

Il percorso personale di questo artista riflette le sue scelte artistiche, e come tale non può essere omesso affinché si possa configurare correttamente il suo posto nel mondo dell’arte, e come in puzzle da migliaia di pezzi, difficili da individuare singolarmente, ma capaci di restituire nell’ insieme una composizione perfetta, un altro tassello va messo a fuoco in quanto indispensabile nella risultante dell’ingegno creativo di quest’ uomo. Alessandro infatti non è solo un pittore dallo spiccato senso espressivo, ma è un lavoratore, addetto al lavaggio e alla sterilizzazione di attrezzature e operatore di camera sterile per un’importante ditta farmaceutica. All'interno dell’azienda, in cui gli operatori hanno molteplici ruoli, vi è l’obbligo e l’addestramento a produrre in sterilità e sicurezza, questo viene fatto mediante l’utilizzo da parte di tutti i dipendenti, dei Dispositivi di Protezione Individuale (DPI).  

Appunti d'Arte di Tamara Follesa_Gli artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)_Alessandro Pinna

Questo termine, che oggi è diventato così familiare per tutti noi, probabilmente rimasto sconosciuto sino a poco più di un mese fa per la stragrande maggioranza dei non addetti ai lavori, indica quei prodotti (mascherine, guanti, occhiali, tappi orecchie, protezioni per il corpo) utilizzati in tutti quegli ambiti, non solo in campo medico, in cui sia necessario lavorare in sicurezza, per salvaguardare la persona e l’ambiente circostante secondo il “principio di salvaguardia”.  Ed ecco il destino incrociato di questo artista: la malattia lo porterà in quanto immunodepresso a dover adeguare le proprie abitudini avvalendosi della mascherina, per un anno il suo volto è coperto, il suo sorriso è oscurato da quel lembo che lo terrà protetto, e poi c’è il lavoro che lo educa all'utilizzo dei Dispositivi di Protezione, quegli indumenti che oggi sono diventati l’emblema di chi in prima linea sta combattendo la pandemia, non solo nelle corsie degli ospedali, ma in tutte quelle professioni che devono andare avanti.  

E con l’esplodere dell’emergenza nell'acceso dibattito tra pareri contrapposti sull'impiego di mascherine nel vivere quotidiano e l’assenza dei dispositivi per gli operatori del settore, che prende forma il progetto di Alessandro Pinna. Verso la metà di Marzo realizza la prima opera murale, la cui immagine è diventata in poco tempo virale (“Amor Omnia Vincit”, Spray Paint e Acrilici su muro, Abitazione Privata, Italia, Lombardia, 2020) in cui due colleghi ricoperti da tute, occhialini, guanti e maschere, si scambiano un tenero bacio attraverso i dispositivi di sicurezza, a questa segue la serie “Working Class Hero”, eroi della classe proletaria,  titolo che rievoca la celebre canzone del 1970 di John Lennon,  quelli che non si fermano, racchiudendo in un fermo immagine quei volti che stanno scrivendo la storia contemporanea,  e di cui possiamo osservare solo gli occhi, carichi dell’espressività che la destrezza pittorica di Pinna ha saputo restituire, con la specifica volontà di sensibilizzare lo spettatore sull'importanza di servirsi dei dispositivi, oggi più che mai.

Appunti d'Arte di Tamara Follesa_Gli artisti al tempo della pandemia: Covid-19 (parte terza)_Alessandro Pinna

La rappresentazione di volti coperti da differenti tipologie di maschere di protezione inizia molto prima della pandemia, già nel 2012, segnato per il suo vissuto e equipaggiato per il suo ruolo lavorativo, esegue i primi ritratti protetti. 

La serie dei ritratti “Working Class Hero” (Olio su plastica, 29 x 36,5 x 4 cm., Italia, Lombardia, 2020) non  è stata realizzata sul solito supporto pittorico, ma dipinta sul fronte di scatole in plastica per stoccare flaconi di farmaci liofilizzati destinati alle aziende distributrici farmaceutiche, mantenendo così anche nel concetto astratto di destinazione d’uso un filo conduttore con l’ambiente medico-farmacologico, a cui è strettamente legato l’utilizzo dei Dispositivi di Protezione Individuale. Pinna dipinge “alla prima”, tecnica le cui origini derivano dai primi  impieghi  del colore a olio nella pittura fiamminga, caratterizzata dalla stesura delle cromie attraverso velature eseguite quando lo strato precedentemente dipinto è ancora umido. 

Tale procedimento implica una grande rapidità nell'esecuzione tecnica, questi ritratti infatti vengono eseguiti in circa due ore, con  una padronanza notevole del mezzo pittorico che l'artista dimostra di aver acquisito sapientemente, tracciando con grande impeto il segno delle proprie pennellate con campiture decise, vibranti di colore, in un alternarsi di movimenti che permettono di intravedere la gestualità plastica che costruisce la forma di questi volti, conferendogli un grande impatto emotivo, e racchiudendo,  in quell'unica porzione di epidermide scoperta,  attraverso cui sono visibili gli  sguardi di questi operatori,  l’essenza di questo tempo, quello in cui, per un po’, con profonda amarezza, non potremo vedere i nostri sorrisi. 

 

Tamara Follesa



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